La dolce rivoluzione del fico d'india su 7GOLD | VIDEO

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La prima puntata della 5° stagione del format La Natura dal Campo alla Tavola offre una panoramica completa sulla coltivazione e sull’uso del fico d’India dell’Etna DOP in Sicilia, un frutto che negli ultimi anni ha conquistato consumatori e mercati con la sua versatilità e le sue qualità uniche. «Il fico d’India era il frutto che durante la guerra sfamava chi non aveva nulla. Cresceva ai bordi delle strade, dove non apparteneva a nessuno. Oggi, invece, è un prodotto che ha riconquistato dignità e valore sul mercato internazionale», ha ricordato Salvatore Rapisarda, direttore del consorzio Euroagrumi OP in collegato da Biancavilla (CT). Oggi - ha agiunto Rapisarda - il fico d'india è un’eccellenza certificata DOP, capace di presidiare territori, mercati e nuove tendenze di consumo. Ad accompagnare questa rinascita c’è il lavoro quotidiano di agricoltori come Antonino Todaro, che coltiva da oltre trent’anni: «La soddisfazione più grande è vedere un frutto buono e bello dopo tanta fatica. Le spine non sono il vero problema, lo è il caldo. Per questo molti raccolgono di notte, con le lampade, per salvaguardare la qualità». Todaro mostra con orgoglio le diverse varietà – dalla rossa alla gialla e poi quella bianca, un tempo rifiutata dai consumatori perché ritenuta acerba, oggi sempre più apprezzata per la delicatezza e il gusto superiore. La puntata si è concentrata sulle due principali raccolte del frutto: il primo fiore, estivo, e il “bastardone”, autunnale, caratterizzato da un calibro maggiore e da un gusto più intenso. Per la ricerca scientifica, il fico d’India rappresenta una coltura modello. Alberto Continella, docente dell’Università di Catania, ha sottolineato: «È una pianta resiliente, adatta a condizioni di stress idrico e terreni marginali. Non solo offre due produzioni l’anno – il primo fiore estivo e il “bastardone” autunnale – ma garantisce frutti ricchi di potassio, fosforo e composti antiossidanti come le betalanine». Una doppia fruttificazione che allunga il calendario di commercializzazione e rende il prodotto ancora più competitivo. Non manca l’attenzione alla freschezza e alla filiera. Il passaggio dalla campagna alla distribuzione è rapido. «Il prodotto raccolto al mattino è lavorato e spedito entro due giorni, senza trattamenti chimici né fungicidi e arriva al consumatore così come la natura lo ha creato», spiega Giovanni Crispi, presidente della cooperativa Portobello di Biancavilla. Una filiera che punta anche sulla sostenibilità logistica, con imballaggi riutilizzabili e trasporti via nave per ridurre l’impatto ambientale. Il fico d’India non è solo frutto. Le pale stesse si rivelano una risorsa: «In Brasile, Messico e Sudafrica la coltivazione supporta la zootecnia sostituendo il foraggio nei climi aridi, », ha spiegato ancora Rapisarda. Un modello già applicato anche in Sicilia, come dimostra l’esperienza di allevatori che utilizzano le pale per alimentare i bovini: ricche d’acqua (circa il 90%), zuccheri e mucillagini, diventano un alimento sostenibile e persino terapeutico. Alla multifunzionalità agricola si affianca quella industriale. Aziende come A-Planet hanno trasformato la pala, un tempo considerata scarto, in una bevanda antiossidante oggi apprezzata soprattutto nel settore sportivo. E la tradizione continua a reinventarsi: dalle mostarde preparate in famiglia ai risotti gourmet proposti da chef come Fabio Sciletta, che abbina il fico d’India alla carruba, creando piatti dal profilo sensoriale innovativo. Non mancano gli appuntamenti di valorizzazione. A Belpasso si tiene la Sagra del Fico d’India dell’Etna DOP, come ricorda l’assessore al turismo Antonio Di Mauro: «Siamo arrivati alla decima edizione, con eventi che coinvolgono scuole, istituti alberghieri e visitatori da tutta la Sicilia. È un’occasione per degustare il frutto anche in preparazioni inedite come arancini e dolci tipici». La sintesi migliore la dà ancora Rapisarda: «Il fico d’India è buono, salubre e soprattutto sostenibile. È il frutto che consuma meno acqua in assoluto: 16 litri per chilo di prodotto contro i 60 di un’arancia e gli 80 di una mela. Inoltre recupera aree marginali, trasformando zone aride in terreni produttivi». La “rivoluzione dolce” del fico d’India, dunque, non è solo una questione di gusto: è un modello agricolo che unisce tradizione e futuro, offrendo un esempio concreto di come una coltura mediterranea possa diventare protagonista delle sfide globali tra sostenibilità, innovazione e mercato.