Comunicati CPE 11/99

Postato in Norme Politiche Qualità

CONFEDERATION  PAYSANNE

81, avenue de la République - 93 170 BAGNOLET tel : 01.43.62.04.04 - fax : 01.43.62.80.03 - email : Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. novembre 1999

SOTTOMMETTERE L’OMC AI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UOMO

I - DAL GATT ALL’OMC: INDISPENSABILI I BILANCI

1. Un po’ di storia: libero scambio e principi fondanti
2. Uruguay Round: integrazione di settori strategici nelle negoziazioni
3. L’accordo agricolo di Marrakech: riduzione delle protezioni doganali
4. Bilancio agricolo: un cattivo accordo per tutti i contadini del mondo
5. Bilancio globale: sempre più disuguaglianze

II - BISOGNA CAMBIARE IL FUNZIONAMENTO DELL’OMC

1. L’OMC sfugge ad ogni controllo democratico
2. Per una giurisdizione internazionale indipendente
3. Per una riforma del Codex Alimentarius

III - PROPOSTE DELLA CONFEDERATION PAYSANNE PER I NEGOZIATI COMMERCIALI INTERNAZIONALI

A. Per il diritto dei popoli al proprio nutrimento
1. Verso la delocalizzazione delle produzioni
2. L’indispensabile protezione all’importazione
3. Sicurezza alimentare
4. Scelta del modello di sviluppo agricolo

B. Per un commercio equo
1. Demistificare i prezzi mondiali
2. Scambi commerciali leali implicano la proibizione di ogni forma di dumping
3. Le situazioni di monopolio o quasi-monopolio: incompatibili con la nozione di commercio equo
4. Il trasporto della merce

  1. Per uno sviluppo durevole e solidale
    1. Uno sviluppo durevole applicato all’agricoltura deve riposare su scambi internazionali equi
    2. Quali esportazioni?
    3. Le sovvenzioni dirette alle esportatori costituiscono un dumping intollerabile
    4. La riforma della PAC del marzo 99 non va nella direzione di un’agricoltura durevole
    5. Quale deve essere la strategia dell’U.E. in campo agricolo

    IV - IL VIVENTE NON SI MERCANTEGGIA
    V - AMBITI ESSENZIALI DELL’ATTIVITA’ UMANA NELLE NEGOZIAZIONI DI SEATTLE
    VI - RESISTERE AL MERCANTEGGIAMENTO DEL MONDO CON TUTTE LE FORZE SOCIALI


    Se il lancio dell’Uruguay Round era passato inosservato nell’opinione pubblica, la conferenza ministeriale che si terrà a Seattle, dal 30 novembre al 2 dicembre, suscita molti dibattiti, articoli di stampa, mobilizzazione di militanti, ...Con la sua azione contro il cantiere di costruzione del Mac Donald’s di Millau, la Confédération Paysanne ha aperto il dibattito e portato alla luce la messa in gioco di questi negoziati. La liberalizzazione degli scambi sarà al cuore delle discussioni. Durante l’Uruguay Round (dall’86 al ’94), i prodotti manifatturieri industriali erano i principali oggetti del dibattito. I negoziati che si apriranno a Seattle toccheranno settori essenziali quali l’agricoltura, i servizi, i beni culturali, la proprietà intellettuale, i prodotti forestali, gli investimenti, ... La molteplicità dei settori investiti e la loro importanza nelle nostre scelte di società devono mobilitare tutti i cittadini coscienti di queste poste in gioco ed unire le energie affinché le popolazioni contino in questo dibattito. Mike Moore, nuovo direttore generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), in un comunicato stampa del 2.9.99, espone le sue priorità per questo nuovo ciclo di negoziati: “Sottolineare i vantaggi che un sistema commerciale più aperto offre sia alle grandi nazioni che a quelle più modeste e spiegare come tale sistema possa accrescere i livelli di vita e creare un mondo più prospero e più sicuro”. Considerando il catastrofico bilancio del libero scambio, al Nord come al Sud, ci serviranno, effettivamente, molte spiegazioni! Dovremo soprattutto fare altre proposte portatrici di speranza per le popolazioni dei due emisferi, in collegamento con tutti gli attori sociali mobilitati. La Confèdèration Paysanne ha il suo posto in questo dibattito sociale fondamentale per l’avvenire del pianeta e delle generazioni future. Essa deve riaffermare l’indispensabile regolazione degli scambi commerciali, il principio della sovranità alimentare ed il controllo determinante della sfera politica sulla legge del mercato.

I – DAL GATT ALL’OMC: INDISPENSABILI I BILANCI.

              1. Un po’ di storia: libero scambio e principi fondanti

E’ nel 1947, due anni dopo la creazione della Banca Mondiale (BM) e del Fondo Monetario Internazionale (FMI) (accordo di Bretton Woods) che l’accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio (General Agreements on Tariffs and Trade : GATT) viene messo in moto. La sua filosofia economica ed i suoi obiettivi sono chiari: il libero scambio deve stimolare la crescita economica e contribuire alla prosperità. Accordi multilaterali dovranno condurre all’abbassamento delle barriere tariffarie delle mercanzie. Il GATT, ed i suoi principi fondamentali, previsti per essere provvisori, sono sempre in vigore; essi sono stati rinegoziati ed arricchiti nel corso di otto cicli (o round) successivi di negoziati. I principi fondamentali del GATT, che restano quelli dell’ OMC,  portano in se stessi l’impossibilità di costruire un’economia durevole, e scambi equi, nei quali si mettono in azione norme sociali ed ambientali accettabili. Il concetto centrale del GATT è quello detto dei  “prodotti similari” che fa  riferimento unicamente ai prodotti in quanto tali, senza preoccuparsi dei modi di produzione. E’ questo l’ostacolo più importante ad ogni possibilità di condizionare il commercio a delle norme sociali od ecologiche. L’unica eccezione a questa regola concerne le restrizioni commerciali sui prodotti elaborati dai carcerati. Ma il lavoro dei bambini è completamente ignorato, quindi implicitamente ammesso. Il primo principio fondante del GATT è quello della “non discriminazione” integrato nella clausola della “nazione più favorita”. Concessioni accordate ad un dato paese per un particolare prodotto sono accordate immediatamente e senza condizioni ad un prodotto similare proveniente da un altro paese. Il secondo principio riposa sull’uguaglianza di trattamento tra i prodotti importati ed i prodotti similari di origine nazionale. Questi principi possono venire illustrati con il conflitto in corso nei riguardi delle banane. Settanta paesi africani, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) sono legati all’Unione Europea (UE) attraverso la convenzione di Lomé. Certi prodotti provenienti in parte dall’ UE (Martinica, Guadalupe, Canarie, ...) vengono pagati ai produttori ad un prezzo molto superiore a quello del mercato mondiale. I paesi ACP beneficiano di una quota tariffaria di 857.700 tonnellate di banane. L’OMC ha condannato in aprile 99 l’organizzazione europea di mercato della banana ed autorizzato gli Stati Uniti ad applicare delle sanzioni commerciali fino a 191 milioni di dollari. L’OMC non si cura di migliaia di piccoli coltivatori minacciati nei Caraibi, né degli operai sfruttati in America Latina nelle grandi piantagioni degli Stati Uniti (Chiquita, Dole). L’articolo XX del GATT ammette che degli Stati possano effettivamente mettere degli ostacoli agli scambi, a condizione che ciò sia giustificato dalla necessità di proteggere la salute e la vita delle persone e degli animali, o la preservazione degli animali. Dal 1947, ogni volta che uno Stato ha utilizzato questa clausola per ragioni di salute pubblica e che è stato contestato, ha perso. Prossimo giudizio, quello sull’amianto. Il Canada, primo produttore al mondo, ha attaccato la decisione francese di proibire l’uso dell’amianto per ragioni di salute pubblica. A chi l’OMC darà ragione? Alla Francia o al Canada?

  1. Uruguay Round : integrazione di settori strategici nelle negoziazioni.

L’ultimo ciclo di negoziati iniziò nel 1986 a Punta del Este, in Uruguay. Esso ha condotto alla firma degli accordi di Marrakech il 15 aprile 1994 con 134 paesi, validi per 7 anni. L’atto finale istituisce l’ OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) il 1° gennaio 1995. Questi accordi segnano una tappa importante per la crescita delle prerogative e degli ambiti di intervento dell’ OMC. Il libero scambio resta più che mai considerato come lo strumento universalmente più efficace per condurre alla prosperità, alla ricchezza, al benessere ...! Non si tratta più, semplicemente, di regolare gli scambi commerciali, ma di favorire i movimenti economici e di imporre le deregolamentazioni. In occasione di questo Uruguay Round, quattro nuovi settori strategici vengono integrati nei negoziati: l’agricoltura, i servizi, la proprietà intellettuale, l’investimento. Si tratta proprio di un cambiamento fondamentale poiché questi settori, lasciati abitualmente alla sovranità nazionale, concernono direttamente le scelte della società. Ventotto convenzioni spazzano via tutti gli aspetti della vita quotidiana, dalle norme sanitarie alla regolamentazione del turismo e trasformano le arti ed il vivente in mercanzie come le altre. Inoltre, l’ OMC si dota di uno strumento repressivo molto più efficace: il suo organismo di regolazione delle dispute (ORD) si applica in tutti gli accordi. Prima, per applicare una sanzione, era necessario l’accordo di tutti, compreso il paese sanzionato. Come dire che le sanzioni non venivano mai applicate. All’OMC, l’unanimità è ancora necessaria, ... ma per scegliere di non applicare la sanzione!

        1. L’accordo agricolo di Marrakech: riduzione delle protezioni doganali.

Il settore agricolo ha dato luogo, durante tutto l’UruguayRound, ad un lungo braccio di ferro tra gli USA e l’UE. I negoziati sono stati anche sospesi nel 90, in seguito a disaccordi sulla questione agricola. I soli Paesi intervenuti un po’ in questo dibattito sono stati i Paesi detti del “gruppo di Cairns” (Australia, Nuova Zelanda, Argentina, Brasile, Canada ...) che si definiscono come esportatori locali, quindi senza aiuti alle loro esportazioni. Quanto ai Paesi in via di sviluppo, questi non hanno potuto far ascoltare la loro voce. Il 21 novembre 92, gli USA e l’UE hanno firmato il preaccordo di Blair House sull’agricoltura, ciò che ha permesso di rilanciare i negoziati. L’accordo agricolo di Marrakech si appoggia alle barriere non tariffarie per facilitare le importazioni agricole. Ogni Paese deve rendere trasparente le proprie protezioni doganali e ridurle del 36%. Deve permettere l’entrata a diritti ridotti, sul proprio mercato interno, di almeno il 5% del suo proprio consumo. I Paesi devono anche ridurre il volume delle loro esportazioni sovvenzionate (del 21%), ed il cumulo delle sovvenzioni (del 36%). I sostegni interni alla produzione, classificati in differenti “scatole” sono così classificati. La scatola arancione contiene gli aiuti che incoraggiano direttamente la produzione (come il sostegno ai prezzi), che devono essere ridotti. La scatola blu, creata specificamente per proteggere le politiche agricole dell’UE e degli USA, raggruppa gli aiuti diretti alla produzione, come gli aiuti PAC. Fino al 2003 questi sostegni beneficiano di un clausola di pace, e possono rimanere. La scatola verde raggruppa le misure disaccoppiate che non hanno effetti sulla produzione agricola (misure agro-ambientali, aiuti alle zone sfavorite, assicurazione al reddito, ricerca pubblica): esse non sono sottomesse a riduzione e possono anche aumentare.

  1. Bilancio agricolo: un cattivo accordo per tutti i contadini del mondo.

La riforma della PAC, firmata il 21 maggio 1992, anticipava già ciò che si sarebbe firmato col preaccordo di Blair House qualche mese dopo. Da una parte l’abbassamento dei prezzi dei prodotti agricoli fissato a danno dei contadini europei, dall’altra, e per mettersi in conformità con la logica del GATT, una parte delle sovvenzioni alle esportazioni (scatola arancione) veniva trasferita agli aiuti diretti al reddito. E’ proprio un tipo di politica che vuole imporsi come modello unico, fondato sull’apertura delle frontiere, dei bassi prezzi e dei sostegni diretti. I prezzi agricoli scollegati dal loro prezzo di costo reale, comportano un vero dumping economico. Ciò si traduce al Nord (USA, UE, Giappone) nell’eliminazione massiva di contadini. Dal 92 al 98, un milione di attivi agricoli è sparito in Europa fra cui 300.000 in Francia. Questo si traduce al Sud in un dumping sociale (bassi salari, lavoro infantile, assenza quasi totale di protezione sociale) ed in un dumping ambientale. Questi paesi in via di sviluppo (PVS) tentano invano di conquistare qualche piccola parte di commercio a spese della protezione delle loro risorse vitali, minerali o forestali. I Paesi del Sud sono i grandi perdenti in questi negoziati. Non hanno mezzi per finanziare gli aiuti diretti ai loro contadini e viene loro negato il diritto legittimo alla sicurezza alimentare. Il delegato dell’isola Maurice diceva alla fine del negoziato: <<I paesi in via di sviluppo hanno perso tutto in questo negoziato, ma noi metteremo la testa sul ceppo con dignità>> (Le Monde,17.12.93). L’India ed il Pakistan, grandi produttori di tessili in cotone, sono costretti ad importare le fibre industriali in concorrenza con la loro produzione nazionale. La Corea del Sud o le Filippine, autosufficienti in riso, sono costrette ad importare riso di bassa qualità. Questo, importato a prezzo inferiore al riso locale, squilibra il mercato nazionale. E’ tutta questa produzione fondamentale per il paese, ed i numerosi piccoli coltivatori, che vengono destabilizzati senza alcun aiuto possibile. Questa politica può danneggiare anche i produttori dei paesi del Nord. La politica europea delle quote latte, che permette la regolazione delle quantità, è rimessa in discussione per l’obbligo di importazione di almeno il 5% del consumo. Aggiunta alla produzione interna dell’UE, l’offerta diventa superiore al consumo ed incoraggia i tentativi di smantellare una delle rare politiche europee di regolazione di una produzione. ll fallimento degli accordi di Marrakech è evidente dal momento che l’OCDE (Organizzazione di cooperazione e di sviluppo economico) riconosce che i sussidi pubblici all’agricoltura hanno continuato a crescere nei 22 paesi più ricchi. La Fair Act (Federal Agriculture Improvement and Reform Act), nuova politica agricola degli USA per il periodo 1996 – 2002, è un esempio sorprendente del fallimento di questo tipo di orientamento e dovrebbe far riflettere. Votata dal Congresso nel 95, questa legge di orientamento agricolo doveva essere innovativa e base per le negoziazioni del prossimo round: essa si basa sulla soppressione di ogni regola di produzione, quindi la liberalizzazione totale dei volumi di produzione, con aiuti diretti forfettari, calcolati su  riferimenti storici. I risultati sono catastrofici, infatti il Congresso è stato costretto a votare a più riprese piani di aiuto urgente, di alleggerimenti fiscali o di acquisti massivi di intervento. E’ un piano di aiuti eccezionali di 8,7 miliardi di dollari che è stato votato in ottobre 99 dai parlamentari americani. Gli agricoltori americani riceveranno nel 1999 una somma record di aiuti diretti, compresa tra 21 e 23,9 miliardi di dollari contro i 12,2 nel 98 e solo 7,5 nel 97! Dopo il latte, i cereali, la carne bovina, l’allevamento suino non è sfuggito allo sfondamento dei costi ((1,27 F al kg vivo (375 Lire/Kg. n.d.t.)). Malgrado un innalzamento del consumo, la mancata regolazione della produzione ha provocato un’offerta pletorica e la progressiva sparizione di allevatori indipendenti a profitto di grandi allevamenti integrati o che fanno produrre senza contratto. Potremmo dire, cinicamente, che per fortuna esistono gli esclusi dal sistema economico e l’aiuto alimentare per smaltire con urgenza una parte delle eccedenze. L’UE deve dunque prendere lezione dal fallimento del “Fair Act” per proporre una vera alternativa per la produzione e la regolazione degli scambi internazionali.

  1. Bilancio globale : sempre più disuguaglianze.

Le politiche collegate del FMI (Fondo Monetario Internazionale), della BM (Banca Mondiale) e del GATT, in seguito dell’OMC, per favorire l’apertura dei mercati ed accrescere la liberalizzazione degli scambi,  hanno provocato, in circa 20 anni, conseguenze drammatiche che non si possono ignorare: le differenze di reddito nei paesi sviluppati non cessano di ingrandirsi ed il fossato tra paesi del Nord e paesi del Sud si allarga un po’ di più ogni giorno. L’aumento delle grandi fortune al Nord è spettacolare: le tre persone più ricche del mondo (tra cui Bill Gate) possiedono una fortuna superiore ai PIL (prodotto interno lordo) dei 48 paesi meno avanzati messi assieme. Le 225 persone più ricche del mondo sommano assieme l’equivalente del reddito annuale del 47% degli abitanti più poveri del pianeta, ossia 2,5 miliardi di esseri umani (rapporto annuale sullo sviluppo umano 98). La mondializzazione, che impone una competizione feroce, spinge i salari verso il basso, mentre una minoranza approfitta delle opportunità offerte per arricchirsi rapidamente. Nell’ultimo rapporto 99 gli esperti del PNUD (programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) denunciano queste gravi disuguaglianze: i privilegiati del club occidentale dell’OCDE, cioè il 19% della popolazione mondiale, gestiscono il 71% degli scambi mondiali. Qualche multinazionale, con i giochi di fusione/acquisizione, accumula un potere economico superiore a quello di numerosi stati: il bilancio della General Motors (164 miliardi di dollari) è superiore al PIL della Tailandia o della Norvegia. Al Sud, solo una piccola minoranza si arricchisce grazie alla globalizzazione degli scambi. Nelle Filippine la messa in opera della liberalizzazione per opera del governo ha provocato un aumento accelerato dell’ineguaglianza dei redditi. Come non riflettere e trarre lezione da un tale bilancio prima dell’apertura di un nuovo ciclo di negoziati? I conflitti armati, i drammi umani, le catastrofi ecologiche, sono la conseguenza di politiche ripetute del FMI, della BM e dell’OMC, provocanti miseria, disoccupazione, forte indebitamento del Terzo Mondo, migrazioni massive dalla campagna verso le città, poi dalle città verso i paesi del Nord... La Confédération paysanne, come più di 1000 organizzazioni di 100 paesi, chiede che prima dell’apertura di ogni nuovo negoziato commerciale in seno all’OMC, sia realizzato un bilancio degli accordi di Marrakech ed una valutazione delle loro conseguenze sociali, ambientali ed economiche.

II - BISOGNA CAMBIARE IL FUNZIONAMENTO DELL’OMC.

              1. L’OMC sfugge ad ogni controllo democratico

L’OMC è un organismo sovranazionale con sede a Ginevra, autonomo in rapporto al sistema delle Nazioni Unite. Questa istituzione intergovernamentale comprende 134 paesi membri. Le adesioni della Cina e della Russia sono in negoziazione. I ministri del commercio dei paesi membri si ritrovano nelle conferenze ministeriali (è il caso dell’incontro di Seattle dal 30.11 al 3.12), che decidono dell’organizzazione e della gestione del programma di lavoro. Senza fondamento legislativo, l’OMC è stato ratificato in Francia il 15 dicembre 1994 dai parlamentari perché la costituzione lo esigeva, ciò che non è avvenuto ad esempio in Gran Bretagna. Ma i deputati francesi non ricevettero le 550 pagine del documento che una settimana prima del voto dell’accordo finale di istituzione dell’OMC! Il ministro del Commercio con l’estero del Governo Juppé (Jean-Marie Rausch) confessò addirittura di non aver compreso molto di questo fastidioso documento. Le prerogative degli Stati sono in effetti trasferite a burocrati sottomessi continuamente alle pressioni di imprese transnazionali e di speculatori finanziari. La Camera di Commercio internazionale si vanta apertamente <<di esercitare un’influenza senza eguali sui negoziati dell’OMC>>. Tre organi gestiscono congiuntamente l’OMC.

1) Organo di valutazione delle politiche commerciali, che si compone della stessa OMC, della BM, e del FMI.In queste istituzioni i voti sono espressi prorata dei contributi finanziari dei paesi membri (i dollaro = 1 voto). Ci si può immaginare il peso dei paesi del Sud in questo organo!
2) Il consiglio generale, che gestisce gli affari correnti, in riunioni spesso informali sui temi più importanti, è inquadrato dagli emissari onnipresenti degli attori economici più potenti. In esso i paesi poveri non hanno i mezzi di seguire tutti i lavori e sono obbligati a scegliere il loro tema. Una quarantina di questi paesi non hanno nemmeno una rappresentanza a Ginevra, o riescono solamente a pagarsi un ambasciatore comune a più paesi. Le decisioni devono essere prese a consenso, senza mai votare. Il calendario ed il contenuto dei negoziati è in mano del “QUAD” (Stati Uniti, Canada, Giappone, Unione Europea). I tecnocrati del Consiglio generale gestiscono gli affari correnti senza controllo democratico.
3) Il terzo organo all’interno dell’OMC è l’organo di regolazione delle dispute (ORD), che interessa tutti gli accordi. In questa giurisdizione mondiale, solo i criteri commerciali contano ed è necessario l’accordo di tutti per non applicare sanzioni! In seguito ad una richiesta di arbitraggio, l’ORD nomina un gruppo di tre giudici selezionati dagli stati membri. Chi sono questi esperti le cui deliberazioni sono confidenziali ed i pareri anonimi?! L’informazione è bloccata per la necessità di ottenere l’autorizzazione del governo che possiede il canale informativo per accedervi. Una volta ancora i paesi poveri sono, come sempre, perdenti: non avendo i mezzi per seguire queste trattative poco trasparenti, vengono loro proposti degli accordi amichevoli. Altrimenti l’ORD procede ad un calcolo di rappresaglie incrociate, con la presunzione di equilibrare la mancanza di guadagno valutata, con sanzioni e tasse sui prodotti bersaglio scelti dal querelante. Nel caso della disputa sulla carne agli ormoni, gli esperti americani hanno stabilito la lista dei prodotti  su cui applicare una sopratassa del 100% per compensare la perdita di profitto sulle loro esportazioni. Dalla sua esistenza, l’ORD ha trattato 178 casi la maggioranza dei quali riguarda l’UE e gli USA (67 degli USA contro l’UE e 42 dell’UE contro gli USA). 40% di queste dispute riguardano l’agricoltura (banane, gamberetti, carne agli ormoni, ...) e 15% riguardano prodotti derivati dall’agricoltura (cuoio, tessili, ...). In occasione del nuovo ciclo di negoziati che si apre a Seattle, l’OMC cerca di accrescere ulteriormente le sue prerogative. E’ inammissibile lasciare che tecnocrati internazionali rinforzino il loro potere, di lasciarli navigare in un “no man’s land” giuridico senza controllo democratico.

  1. Per una giurisdizione internazionale indipendente.

Noi rivendichiamo: 1 una moratoria su tutte le negoziazioni tendenti ad estendere la portata ed i poteri dell’OMC;
2 una valutazione, con la piena partecipazione della società civile, delle regole e delle pratiche di questa organizzazione; 3 la subordinazione di questa organizzazione alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (DUDH) del 1948 ed alle convenzioni internazionali relative alle questioni sociali ed ambientali.
Due patti derivano direttamente dalla DUDH (che non ha portata giuridica diretta):
il patto sui diritti civili e politici, che determina ciò che vengono chiamate “libertà fondamentali per l’individuo e per i popoli” (libertà di opinione, di associazione, di circolazione, ...) e di cui la Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia è uno degli strumenti di applicazione. La creazione del Tribunale Penale Internazionale deriva ugualmente da questo patto (Yugoslavia, Rwanda).
Il patto sui diritti economici, sociali, culturali, adottato nell’Assemblea Generale dell’ONU nel 66, ma poco ratificata dagli Stati, e nemmeno dalla Francia.
Se vogliamo che i diritti delle persone vengano prima delle logiche di mercato è indispensabile che la composizione dei contrasti commerciali sia assicurata riferendosi a tali patti. E questo dovrebbe essere completato con la nozione di sviluppo durevole presentato dalla Convenzione di Rio nel 1992. Deve essere creata una giurisdizione internazionale perché il diritto internazionale sia fondato sulla dichiarazione dei diritti dell’uomo e sui suoi testi derivati, e non sul commercio ed il diritto degli affari. Il rispetto dei diritti fondamentali della persona umana, delle norme sociali, del diritto dei bambini, degli accordi e delle convenzioni sull’ambiente deve prevalere sul diritto commerciale. In questo senso, l’ORD (Organismo di Regolazione delle Dispute) deve divenire indipendente e libero dall’influenza dell’OMC e delle multinazionali. Questo organismo ha come riferimento giuridico solo le regole e gli accordi dell’OMC, senza alcuna separazione di poteri. Deve dunque essere denunciato e riformato. Il funzionamento dell’OMC in generale deve essere reso più trasparente, almeno nella diffusione dei documenti in corso di negoziazione e nell’associazione di organismi non governativi a queste negoziazioni. Le regole dell’OMC non hanno niente di ineluttabile, esse devono essere cambiate.

  1. Per una riforma del Codex Alimentarius

Creato dalla FAO e dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nel 1962, il C.A. stabilisce delle norme, delle direttive, delle raccomandazioni o “codici d’uso” sui quali gli Stati possono accordarsi “allo scopo di proteggere la salute dei consumatori e di assicurare la lealtà delle pratiche seguite nel commercio dei prodotti alimentari”. I responsabili che hanno gettato le basi e definito gli orientamenti di questo Codice pensavano che se tutti i paesi avessero armonizzato le loro legislazioni alimentari e adottato delle norme approvate su scala internazionale, tali scopi sarebbero stati raggiunti automaticamente e che gli ostacoli al commercio e alla liberalizzazione degli scambi tra i paesi sarebbero stati ridotti, a maggior beneficio per gli agricoltori del mondo intero! Il ciclo dell’Uruguay Round segna una tappa importante poiché l’agricoltura e l’alimentazione entrano  per la prima volta nei negoziati, ed i partecipanti riconoscono che le misure adottate dai governi nazionali per proteggere la salute dei loro consumatori possono trasformarsi in ostacoli mascherati al commercio ed essere discriminatori. L’accordo SPS (accordo sanitario e fitosanitario) per esempio riconosce le norme e raccomandazioni stabilite dal C.A. Ciò dà una maggiore importanza a questa commissione e suscita l’interesse  di numerosi paesi  per i suoi lavori. Gli accordi e aggiustamenti commerciali tra gruppi di paesi (Alena, Mercosur,) si riferiscono alle norme del C.A. che sono anche ricordate come condizioni richieste  per la firma di questi accordi. Le direttive dell’UE invocano ora spesso il Codex per giustificare alcune prescrizioni. All’interno di questa organizzazione, le delegazioni nazionali sono ampiamente, infiltrate da rappresentanti dell’industria agroalimentare; questi sono presenti all’interno delle sessioni e fanno pressioni sui dibattiti. L’UE e gli USA rappresentano da soli il 60% dei delegati per il 15% della popolazione. E’ evidente che le norme redatte non vanno nel senso del diritto dei consumatori ad  alimenti sani e nutritivi, ma nel senso unico degli interessi delle industrie agroalimentari. Nel giugno 1997, il C.A. riunito a Ginevra aveva all’ordine del giorno una richiesta inquietante degli USA: si trattava di proibire la circolazione internazionale dei prodotti elaborati con latte crudo. I gruppi dominanti il settore dei prodotti caseari, tentavano di imporre le loro regole del gioco: monopolio, industrializzazione della fabbricazione, concentrazione della produzione. La libera circolazione dei formaggi al latte crudo deve naturalmente essere garantita, ma i  bacini di produzione tradizionale devono essere protetti da Denominazioni di origine controllate e Indicazioni geografiche di provenienza. Il C.A., tenuto ad emettere solo raccomandazioni, orienta in realtà il commercio mondiale. L’UE deve esigere una riforma urgente di questa organizzazione. 

III - PROPOSTE DELLA CONFEDERATION PAYSANNE PER I NEGOZIATI COMMERCIALI INTERNAZIONALI.

Se un bilancio degli accordi di Marrakech è necessario, se si deve valutare e revisionare il funzionamento e le pratiche dell’OMC per andare verso un reale controllo cittadino di questa organizzazione, la ridefinizione di nuove regole per gli scambi commerciali è indispensabile. All’inizio del suo mandato, il 1° settembre 1999, Mike Moore invitava cinicamente le potenze commerciali del mondo a fare tutto quello che era in loro potere per integrare i paesi più poveri al sistema commerciale multinazionale. Questo brav’uomo, certamente, vede la possibile via di scampo solo attraverso l’apertura ampliata dei mercati.

A. PER IL DIRITTO DEI POPOLI AL PROPRIO NUTRIMENTO

L’abbondanza dei beni arriva a dei livelli senza precedenti. Ma il numero di coloro che non hanno un tetto, non hanno lavoro e non mangiano abbastanza aumenta sempre più. Il pianeta produce abbastanza per nutrire i suoi abitanti. Il consumatore dei paesi occidentali è incitato a mangiare sempre più, e si preoccupa dell’obesità, mentre 30 milioni di persone muoiono di fame ogni anno, e 800 milioni di esseri umani soffrono di sottoalimentazione cronica.

1. Verso la delocalizzazione dei prodotti

L’UE aveva fondato la sua politica agricola all’inizio degli anni 60 sull’obiettivo essenziale di assicurarsi l’autosufficienza alimentare, proteggendo il mercato interno europeo dai concorrenti esterni. L’obiettivo prioritario a livello internazionale deve essere lo stesso per tutti i paesi  o gruppi di paesi: organizzare la propria sicurezza alimentare e scegliere il proprio modello di sviluppo agricolo. Gli USA hanno accettato l’instaurazione della “preferenza  comunitaria”, in cambio dell’entrata senza diritto di dogana all’interno dell’Europa delle loro produzioni di soia e sotto prodotti della trasformazione dei cereali (i famosi PSC: prodotti di sostituzione dei cereali). Questa concessione che sembrava poco importante all’epoca, ha avuto conseguenze pesanti: sviluppo di un modello di produzione di carne industriale essenzialmente concentrata vicino ai porti commerciali, importazione massiccia di soia, ormai brasiliana, prodotta a spese dell’agricoltura di sussistenza locale, impossibilità per l’Europa di sviluppare le sue produzioni di oleaginose limitate di fatto dall’Accordo Blair House, grande difficoltà per ottenere prodotti senza OGM. Non tutte le produzioni europee sono state oggetto della costituzione di organizzazioni di mercato. Alcune, come frutta e verdura, volatili, maiali, sono stati lasciati alla legge del mercato, con le conseguenze di distruzione di impiego, concentrazione della produzione, deterioramento della qualità del gusto. La mancata organizzazione della produzione conduce i produttori nella  spirale della mondializzazione degli scambi con delle crisi successive e dei prezzi sempre più bassi, per il più grande profitto delle industri agroalimentari o di alcune centrali di acquisto. Le  transnazionali della produzione agricola si installeranno là dove le condizioni di produzione saranno più interessanti. Per esempio, lo stabilimento Doux, industria francese di volatili.. investe in Brasile nella produzione di polli industriali, annunciando già un costo di produzione inferiore a 2,30 franchi francesi al Kg. (£. 679 – n.d.t.)  e prevede lo stesso sviluppo  nella produzione suina. La delocalizzazione delle produzioni su scala mondiale si sta preparando, con la specializzazione di alcune regioni in certe produzioni (la carne industriale nel Mercosur, per nutrire i poveri del Nord e del Sud, e le produzioni a valore aggiunto in Europa, per i ricchi del Sud e del Nord?).

                1. L’indispensabile protezione all’importazione

La protezione all’importazione è tanto più forte quanto più i paesi sono industrializzati. I paesi occidentali più protetti dall’importazione sono globalmente quelli nei quali il livello di vita media è il più elevato, le disuguaglianze dei redditi sono minori e  l’aiuto pubblico allo sviluppo del Sud è più importante. I soli paesi del  Sud che sono riusciti ad industrializzarsi sono quelli che hanno protetto fortemente la loro agricoltura. La Corea del Sud, per esempio, dove il prezzo del riso era 8 volte superiore al prezzo mondiale (nel 91-93). In seguito alle decisioni dell’Uruguay Round, è solamente 3,4 volte superiore nel 98. Il debole sviluppo agricolo dell’Africa Nera conta ancora 65% di attivi agricoli e l’assenza di industrializzazione non le permette attività alternative. Alcune possibilità tecniche esistono per sviluppare la sua autonomia alimentare. Senza reale protezione alle importazioni, le culture e i contadini africani non potranno resistere alla concorrenza delle nostre produzioni sostenute e delle nostre eccedenze sovvenzionate. L’India ha lanciato da più di 10 anni un vasto programma in vista della sua autosufficienza in oleaginose. Di recente, aperture alle importazioni di soia hanno fatto abbassare del 13% i prezzi interni  e del 30% il prezzo dell’olio di soia, poiché il prezzo all’importazione è inferiore ai costi di produzione interna. A farne le spese sono i produttori e i trasformatori indiani. In più. Bisogna notare che queste popolazioni ereditano della soia transgenica rifiutata in Europa! E’ dunque attraverso la protezione del mercato interno  e la costituzione di stock di alimenti fondamentali che un paese può lottare efficacemente contro la fame. Ci tocca constatare, che dei paesi come il Brasile, esportatori di proteine vegetali e importatori di prodotti alimentari sono incapaci  di sradicare questo flagello a causa della restituzione del debito e del programma FMI. Per la Confédération paysanne, la sovranità alimentare deve essere un diritto fondamentale riconosciuto univaersalmente. La protezione all’importazione è indispensabile nei paesi occidentali, come nei paesi del Sud.

                    1. Sicurezza alimentare

Ogni Paese, o gruppo di paesi, deve poter mirare al  livello di sicurezza più elevato possibile  nei riguardi dei prodotti agricoli costituenti la base dell’alimentazione, e questo per tutti i suoi abitanti. La sicurezza alimentare non è solo questione di quantità. Supponiamo che in Brasile, 1000 contadini che coltivano 10.000 ettari di soia vengano espulsi e rimpiazzati da una grande azienda agricola. Questa ha i mezzi per produrre in quantità, ma la sicurezza alimentare del paese è ridotta. Questa impresa va verso il mercato mondiale, e i contadini espulsi vanno ad ingrandire le bidonvilles urbane senza poter comprare il loro cibo quotidiano. La sicurezza alimentare deve garantire a tutti un’alimentazione sufficiente, di qualità ed accessibile in base all’impiego ed ai guadagni di ciascuno, l’accesso alla terra per i contadini più poveri ed un reale impegno politico in favore dello sviluppo. Favorire gli scambi tra zone eccedentarie e zone deficitarie mantiene ad un livello minimo la stabilità necessaria alla riduzione dell’insicurezza alimentare. L’accrescimento dell’offerta di alimenti non risolverà meccanicamente i problemi di sicurezza alimentare per tutti gli individui. L’insufficiente potere d’acquisto impedisce ad una parte della popolazione di nutrirsi correttamente. Questa sicurezza alimentare è la sola possibilità di pace e di stabilità geopolitica.

4.Scelta del modello di sviluppo agricolo

Numerosi politici e lobby agricole si barcamenano per difendere il così detto modello agricolo europeo. Di che si tratta?  E’ quello della mucca pazza, dei polli alla diossina, dell’agricoltura iper-produttivista olandese, del legno finlandese,…? Questo modello non vuol dire niente. C’è dappertutto nel mondo un’agricoltura industriale distruttrice di impiego, di ambiente, di paesaggio, e di agricolture  contadine differenti, largamente maggioritarie nel mondo. Ogni paese, o gruppo di paesi, deve poter scegliere il suo modello agricolo, in funzione delle attese della popolazione. E deve dunque poter rifiutare alcune pratiche di allevamento o di culture in contraddizione con le sue attese espresse: OGM, clonazione, ormoni di crescita, antibiotici…Nel suo rifiuto di importare carne bovina agli ormoni, l’UE non può nemmeno arroccarsi dietro il principio di precauzione e di salute pubblica. L’OMC ha autorizzato gli USA ad applicare delle sanzioni commerciali per 116,8 milioni di dollari verso l’UE, poiché questa non ha potuto dimostrare la realtà scientifica del rischio sanitario. Bisogna assolutamente invertire l’onere della prova, tocca ai paesi esportatori  portare la prova scientifica dell’innocuità del prodotto, a lungo termine per la salute e l’ambiente.

B. PER UN COMMERCIO EQUO

Demistificare i prezzi mondiali

Secondo i promotori del libero scambio, i prezzi mondiali sono i soli veri prezzi sui quali è necessario allinearsi. Ricordiamo che questi prezzi non concernono che una parte minima della produzione mondiale, dal 6 al 10% per i cereali, i prodotti caseari e la carne. Questi prezzi sono totalmente disconnessi dal costo di produzione e ampiamente finanziati dai contribuenti. Il prezzo mondiale non esiste, esso risulta dai negoziati tra acquirenti e venditori, e da tutto un insieme di aiuti pubblici diretti e indiretti. Per guadagnare dei mercati e imporre i loro prodotti nei paesi del Sud, le imprese rompono i prezzi che  loro stesse rimetteranno dopo aver eliminato i prodotti locali. I prezzi mondiali non prendono assolutamente in conto i difetti del mercato, la trasgressione dei diritti dell’uomo, o  i danni causati all’ambiente. Rimangono molto fluttuanti, in funzione delle variazioni di produzione da un anno all’altro, (condizioni climatiche imprevedibili) e delle variazioni dei mercati finanziari instabili. Il processo di liberalizzazione degli scambi agricoli non ha reso i mercati mondiali più stabili; e l’approvvigionamento dei paesi deficitari, che sono i più poveri, non è garantito. Un commercio equo non può essere fondato su questi prezzi mondiali.

2. Scambi commerciali leali implicano la proibizione di ogni forma di dumping.

Per i prezzi dei prodotti, agricoli o no, non è sufficiente essere bassi per slegarsi da considerazioni sociali o ambientali. Bisogna tendere verso un’armonizzazione delle condizioni sociali  verso l’alto: proibizione del lavoro infantile, rispetto dei diritti sindacali, vero statuto per tutti i lavoratori, uomini o donne, e prezzo di vendita che permetta un guadagno decente.

3. Le situazioni di monopolio o quasi monopolio sono incompatibili con la nozione di commercio equo.

Per numerosi prodotti,  o in settori così vitali come l’accesso all’acqua, qualche transnazionale controlla la maggioranza degli scambi. Per esempio, Vivendi in Francia ha messo le mani su dei settori primari come il trattamento e la gestione dell’acqua, dei rifiuti, sulla comunicazione o la gestione di ospedali e aumenta senza interruzione le sue imprese nei paesi del Terzo Mondo. Negli USA, dopo la sua fusione con Continental, la Cargill esporterà il 40% del mais, 1/3 della soia, 20% del grano. La sua alleanza con Monsanto le dà il controllo della catena alimentare, “dal seme al piatto”. In questo sistema l’agricoltore diventa salariato come nei grandi complessi agro-industriali.

4. Il transito delle merci

Il commercio nella stessa zona geografica deve essere privilegiato a spese di tragitti sempre più lunghi. I paesi del Sud hanno  grandi difficoltà di trasporto: cattive infrastrutture, zone inaccessibili in stagione di pioggia. Sviluppare trasporti meno lunghi comporta minori costi energetici e permette di limitare le speculazioni e il dumping.

C. PER UNO SVILUPPO DUREVOLE E SOLIDALE

1. Tale sviluppo durevole applicato all’agricoltura deve fondarsi su scambi internazionali equi.

Essi devono tendere ad una complementarietà di produzioni e devono tener conto dei costi di produzione che comprendono una decente remunerazione del lavoro contadino. La nozione di qualità deve essere integrata, basata su usi locali, leali e costanti, al fine di beneficiare di una protezione geografica e di rendere non delocalizzabili prodotti a forte valore aggiunto. Le leggi liberiste del mercato distruggono irrimediabilmente l’ambiente: i suoli, le risorse idriche, l’aria, tanto sul piano qualitativo che su quello quantitativo. Esse portano inoltre attentati alla biodiversità ed al patrimonio genetico. Per poter trasmettere alle generazioni future un pianeta vivibile e durevole, il principio di precauzione deve sempre essere applicato per proteggere, a lungo termine, le risorse naturali e la salute delle persone. Questi principi universali di sviluppo della qualità, di rispetto dell’ambiente e di riconoscimento reciproco devono applicarsi al Nord come al Sud. Nei paesi in via di sviluppo, gli Stati devono garantire l’accesso alla terra per difendere i piccoli coltivatori e la cultura rurale. Non è con la deregolamentazione né con lo sviluppo delle colture da esportazione, a detrimento delle colture di sussistenza, che si risolverà il problema della fame nel mondo. Nei paesi del Nord, lo sviluppo durevole implica controllo e ripartizione delle produzioni fra tutte le regioni e fra tutti i coltivatori. Non è cercando sbocchi sull’ipotetico mercato mondiale che si risolverà il problema delle sovrapproduzioni. Gli aiuti pubblici devono rispettare un limite massimo per attivo e venire ripartiti equamente fra tutti i produttori.

2. Quali esportazioni?

L’UE nel suo assieme dispone di un potenziale agricolo importante che le permette di essere esportatrice netta in vari campi. Grazie a questo potenziale ed alle sue capacità, l’UE è  prima nel rango mondiale per diversi prodotti agricoli con forte valore aggiunto, principalmente acquistati da paesi ricchi (vini ed alcolici, formaggi, fegato d’oca, per esempio). Questi prodotti corrispondono a produzioni molto particolari che rispondono a capitolati d’oneri precisi, a zone geografiche ben identificate e che permettono di valorizzare una professionalità ed una vera economia locale generata dal valore aggiunto. Queste esportazioni devono essere mantenute e sviluppate. Esse non sono sovvenzionate. Al contrario, il mercato dei prodotti di base (latte in polvere, cereali, carni bianche e parti non pregiate di carni rosse) è alimentato da surplus agricoli di grandi paesi produttori (UE, Canada, USA) o dalle produzioni di paesi con modelli agricoli basati sui ranch o sul latifondo (Nuova Zelanda, Australia, America Latina). I prezzi di questo mercato sono eccessivamente bassi e continueranno ad esserlo. Esi sono sostenuti da aiuti diretti e/o da sovvenzioni alle esportazioni molto alte, che portano a costi elevati per i contribuenti europei, ai quali si aggiunge un costo ambientale sempre più preoccupante. E’ da irresponsabili assegnare all’agricoltura europea la missione di conquistare questo tipo di mercato. L’UE ha tutto da guadagnare sopprimendo rapidamente tutte le sovvenzioni alle esportazioni di questi prodotti basici. E’ la condizione di una solidarietà Nord - Sud espressa nella “Carta dell’Agricoltura Contadina della Confédération Paysanne: <<L’agricoltura contadina ha una dimensione sociale basata sull’occupazione, la solidarietà tra contadini, tra regioni, tra contadini del mondo, altrimenti le regioni più ricche e gli agricoltori più forti lederanno il diritto alla vita degli altri, e questo non sarebbe testimonianza di equilibrio e di umanità.>>

2. Le sovvenzioni dirette alle esportazioni costituiscono un dumping intollerabile

Il disaccoppiamento degli aiuti è un nuovo travestimento per una conquista dei mercati mondiali. Gli aiuti delle scatole verdi e blu non si definiscono protezionisti, sono dunque autorizzati in maniera illimitata, non appartenendo ai meccanismi di mercato e non alterando gli scambi! Che ipocrisia! Indispensabili per il sostegno delle piccole e medie aziende, essi servono anche, essendo versati senza alcun limite, alle grandi aziende per ridurre i loro costi di produzione, conquistare i mercati, compensare le perdite di reddito agricolo. Certamente, solo i paesi occidentali hanno i mezzi finanziari per destinare importanti aiuti diretti. I paesi del Sud sono largamente vittime di questo sistema perverso. Questi aiuti disaccoppiati generano distorsioni di prezzo e numerosi effetti indotti. Il Presidente della National Farmers Union, sindacato minoritario degli USA, dichiara: <<Il cambiamento a favore degli aiuti diretti disaccoppiati ha creato disuguaglianze tra produttori, produzioni e regioni. Ciò ha determinato distorsioni negli indirizzi dati alla produzione ed alla commercializzazione ... I pagamenti disaccoppiati conducono sovente alla lievitazione dei prezzi delle terre.>>.

3. La riforma della PAC del marzo 99 non va nel senso di un’agricoltura durevole.

Gli accordi di Berlino, puntando sulla sedicente vocazione esportatrice dell’agricoltura europea e sul mercato mondiale, sono in totale contraddizione con il riconoscimento del carattere di multifunzionalità dell’agricoltura proposto nella legge di orientamento francese  votata qualche settimana più tardi. Ancora una volta, sono la concentrazione delle produzioni, l’ingrandimento delle aziende, l’eliminazione massiva della manodopera agricola ad essere favoriti. La competitività delle aziende della comunità meglio piazzate, che ricevono sempre la maggior parte degli aiuti diretti (malgrado la modulazione francese che rimette leggermente in causa questa tendenza), accentua gli effetti negativi sull’ambiente, la qualità dei prodotti e lo sviluppo del territorio. Questi accordi di Berlino non hanno per niente modificato l’orientamento del modello produttivista ed hanno preparato molto male la posizione dell’UE per il prossimo “ciclo del millennio”. Al contrario, hanno anticipato le seducenti esigenze del grande mercato che si esprimeranno a Seattle. In più, qualche accordo di libero scambio è già stato firmato dall’UE o è in corso di negoziazione con numerosi paesi del Sud: paesi mediterranei, Africa del Sud, paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay) ... I governi di 15 paesi membri dell’UE sono dunque pienamente responsabili di questo processo già ben avviato. Essi hanno dato come base di negoziazione alla Commissione Europea i risultati degli accordi di Berlino. Il COPA (Comitato delle Organizzazioni Professionali Agricole, che raggruppa a livello europeo gli omologhi della FNSEA e dell’APCA (francesi, e di CIA, Coldiretti, Confagricoltura, italiani – n.d.t.)) si sintonizza con questa posizione, ben piantato sul sedicente “modello agricolo europeo”, per rifiutare in anticipo ogni altra concessione. Ma sa molto bene che occorrerà in qualsiasi maniera arretrare dalla posizione di partenza, come in ogni ciclo di negoziati. Bisognerà cedere sulle restituzioni alle esportazioni, come sulla protezione alle importazioni.

4. Quale deve essere la strategia dell’UE in campo agricolo.

L’UE deve impegnarsi a sopprimere immediatamente tutte le sovvenzioni all’esportazione. Deve far riconoscere che la protezione all’importazione è la forma più solidale sul piano internazionale. Tutti i paesi sono costretti ad assicurare una certa protezione alla propria agricoltura, o limitando l’importazione o con aiuti diretti. Il disaccoppiamento degli aiuti costituisce un travestimento per costituire un dumping intollerabile per i paesi del Sud. L’UE deve far entrare nell’OMC il diritto dei popoli all’autonomia alimentare per i loro prodotti di base ed allo sviluppo durevole della loro agricoltura di sussistenza.

IV - IL VIVENTE NON SI MERCANTEGGIA.

Seminare del grano raccolto per riprodurre una varietà vegetale è uno dei principi fondanti dell’agricoltura. Riprodursi, moltiplicarsi è una proprietà fondamentale del vivente. E l’agricoltore aveva la sicurezza che la sua pratica di seminare un grano raccolto era un diritto. Era contare senza l’industria delle “biotecnologie” e le loro sementi geneticamente modificate. Gli agricoltori, utilizzando queste sementi, si impegnano per contratto a non riseminare il grano raccolto, sotto pena di denuncie, di processi, ... Queste sementi brevettate fanno del contadino un ostaggio o un pirata se non si sottopone a questa proibizione. Così, lo sviluppo delle piante transgeniche si accompagna al controllo, o alla distruzione della proprietà fondamentale del vivente: la sua capacità di riprodursi e di moltiplicarsi. Il sistema attuale dei brevetti fa sopportare al contribuente ed al produttore il costo della propria espropriazione. Le tecnologie di sterilizzazione biologica (Terminator) rischiano di determinare dei monopoli senza fine su piante e loro caratteri. L’industria sarà allora in grado di controllare tutta la catena della produzione alimentare, dalla terra alla tavola. Le multinazionali delle biotecnologie stanno appropriandosi di un bene comune dell'umanità, per natura inappropriabile. Geni, specie animali, vegetali, fanno parte di un patrimonio comune che non si può lasciar brevettare, sperperare, vendere e depredare: sempre di più, società transnazionali si vedono accordare dei brevetti su vegetali, animali o derivati scoperti (e non inventati!) nei PVS impedendo di fatto a questi paesi di proteggersi e di sviluppare le loro conoscenze tradizionali, le loro ricerche e le loro risorse biologiche. Il vivente non si mercanteggia. Questa sarà una delle grandi poste in gioco nei negoziati che si aprono a Seattle.

V - AMBITI ESSENZIALI DELL’ATTIVITA’ UMANA IN NEGOZIAZIONE A SEATTLE.

I negoziati di Seattle certamente oltrepassano largamente gli ambiti agricoli. La riunione ministeriale di fine novembre deciderà dell’ordine del giorno del prossimo round. Oltre l’agricoltura, ambiti altrettanto essenziali quali la salute, l’educazione, l’alimentazione, l’energia, la biosfera saranno in discussione. In tutte queste dimensioni dell’attività umana, professionale e sociale, le regole della concorrenza, del dumping, saranno generalizzate. Le situazioni di monopolio dei servizi pubblici saranno condannate. Ogni paese sarà trattato su base di uguaglianza, senza considerazione per le sue realtà economiche, sociali, culturali. L’AGCS (Accordo Generale sul Commercio e sui Servizi) sarà nuovamente sul tappeto. Settori fondamentali della vita quotidiana, come la salute o l’educazione sono trattati così. Per misurare bene la minaccia che pesa sulle nostre scelte di società, basta l’esempio dell’educazione: una delle barriere identificate in questo settore è l’esistenza di monopoli governativi e le sovvenzioni destinate ad istituzioni locali (scuole, collegi). E’ proprio tutto il nostro sistema scolastico pubblico che è preso di mira. Il riesame degli accordi SPS (Misure Sanitarie e Fitosanitarie) è pure da prevedere. E’ il principio di precauzione che è totalmente minacciato e non potrà più trovare applicazione, dovendo fare la prova di tossicità di un prodotto per poterlo proibire. Si ritrovano qui le vicende della carne agli ormoni, degli OGM, ma anche delle medicine, dei vaccini, ... L’onere della prova deve essere sistematicamente applicato nel senso del principio di precauzione. Sta a colui che vuole esportare un prodotto il fare la prova della sua innocuità. Diversi altri settori possono essere inclusi in questo ciclo di negoziati, come la pesca o i prodotti forestali, facendo pesare gravi minacce sulle risorse forestali e marittime. Le organizzazioni specifiche per prodotto ed ogni forma tesa a contingentarne la quantità od organizzarne il commercio, rischiano di venire colpite. I tentativi d’imporre l’AMI (Accordo Multilaterale sugli Investimenti) che miravano alla liberalizzazione degli investimenti si sono arenati grazie alla mobilitazione sociale. Ma evidentemente questa volontà che conduce alla perdita di autonomia degli Stati risorgerà sotto una nuova forma.

VI - RESISTERE AL MERCANTEGGIAMENTO DEL MONDO CON TUTTE LE FORZE SOCIALI.

La conferenza ministeriale dell’OMC che si terrà a Seattle a fine novembre comporta delle grandi sfide per i popoli e per l’avvenire del pianeta. L’OMC sfugge ad ogni controllo democratico; non dispone di alcuna legittimità elettiva pper decidere al posto dei popoli, delle nazioni. Degli Stati. Bisogna riorganizzare il controllo civile di questa organizzazione. <<Di fronte alla mondializzazione s’impone una scelta. Possiamo affidarci a delle leggi economiche sedicenti  naturali e così abdicare alle nostre responsabilità politiche: Possiamo, al contrario, cercare di controllare la mondializzazuione e costruire così il controllo del nostro destino collettivo. (...). Questo mondo ha bisogno di regole.>>. Lionel Jospin, 24 settembre 1999, discorso davanti all’assemblea generale dell’ONU. L’OMC ha sempre rifiutato di prendere in considerazione la dimensione sociale degli scambi, che si tratti di impieghi, di diritti, di norme, ... Non si preoccupa di protezione dell’ambiente, della natura. Il vertice di Seattle ha l’obiettivo di accelerare e di rendere irreversibile la liberalizzazione degli scambi, la deregolamentazione sociale, di allargare il potere della finanza. Confédération Paysanne non può tenersi solo sulla difensiva degli interessi agricoli nei negoziati. Non possiamo batterci per una eccezione agricola che abbandonerebbe la proprietà intellettuale ai mercanti. Si tratta invece di resistere in tutti i campi nel loro complesso per evitare la dispersione ricercata dagli ultra liberisti. Gli Stati Uniti vogliono negoziare un soggetto alla volta per vincere a furia di mini-accordi. L’Unione Europea preferirebbe mettere sul tavolo numerosi soggetti contemporaneamente. Ma ciò può permettere ad ogni paese di fare il “proprio mercato”, il che sarebbe nefasto in molti settori. Confédération Paysanne intende partecipare e far fronte con numerosi movimenti impegnati nel Coordinamento per un controllo dell’ OMC (CCC-OMC) e firmatari di un appello che raggruppa più di 70 organizzazioni. Dobbiamo impedire questa corsa alla mercantizzazione totale del mondo. Alla mondializzazione noi opponiamo un’altra concezione degli scambi internazionali fondata sulla solidarietà, sulla cooperazione, sul commercio equo. Contro il dumping sociale noi scegliamo uno sviluppo durevole, centrato sul rispetto del lavoro, che protegga l’occupazione, i diritti sociali e democratici di tutti i popoli. Allo stesso fine, Confédération Paysanne rifiuta di opporre in maniera aggressiva gli agricoltori del Nord e del Sud. E’ con la protezione e lo sviluppo delle agricolture per gli alimenti, con l’affermarsi del diritto dei popoli a produrre i propri alimenti, che avanzeremo nella solidarietà internazionale verso una riduzione della fame, della povertà, dell’illegalità. Confédération Paysanne lavorerà per questo a Seattle e dopo Seattle, con numerose organizzazioni agricole presenti, membri assieme a lei di Confédération Paysanne Européenne e di Via Campesina.